Le micro e nano-plastiche anche nei prodotti cosmetici

Cronaca di un danno “invisibile”

Secondo uno studio pubblicato a marzo di quest’anno su Scientific Reports, il vortice del Pacifico nasconderebbe 79.000 tonnellate di materiali plastici, pari a 1,8 triliardi di pezzi di plastica, per il 94% micro e nano-plastiche.

Un disastro ecologico di proporzioni enormi, di cui però nessuno si assume la responsabilità. Perché quel tratto di mare non appartiene ufficialmente a nessuno Stato.

Sono le micro e nano-plastiche responsabili dei danni maggiori alle specie viventi e all’ambiente soprattutto quello marino. Questi micro-frammenti sono stati trovati ormai ovunque. Nei ghiacciai, nello stomaco di moltissimi animali marini, spesso alla base della catena alimentare anche umana.

E persino nel sale marino che usiamo in cucina. Nylon, rayon, lyocell, polietilene sono stati trovati nell’apparato digerente dei crostacei e pesci che abitano uno dei luoghi più remoti del pianeta, la fossa delle Marianne, a quasi 11.000 metri di profondità. O ancora, come riportato nella lunga bibliografia del progetto scozzese Nurdle Free Oceans, l’83% degli scampi che vivono alla foce del fiume Clyde in Scozia ha plastica nello stomaco, così pure il 48% dei pesci S. Pietro del Regno Unito, il 50% cocci (gallinelle di mare), il 40% di una specie di merluzzo, il 26% della sogliola gialla. Lo stesso dicasi per le cozze, gli organismi filtratori delle acque marine per eccellenza. 

Secondo uno studio inglese salito di recente alla cronaca per la Giornata Mondiale degli Oceani, cento grammi di cozze surgelate in media contengono 70 particelle di micro-plastiche, cui circa la metà sono particelle di poliestere e Nylon.

Ma non si tratta solo della Gran Bretagna, anche il Mare Nostrum è interessato dal fenomeno. Un recente studio italiano pubblicato sul Marine Pollution Bulletin, per esempio, ha messo in luce come il 25% delle verdesche analizzate (Prionace glauca) nel Mar Ligure avesse ingerito micro e nano-plastiche. Mentre stando ai risultati dell’ultima indagine condotta da Altroconsumo su oltre 100 campioni di cozze, crostacei vari e sale marino, il 70% è contaminato da micro-plastiche. In modo anche pesante: nel 40% dei campioni di sale marino e di cozze ne è stata riscontrata la presenza, mentre in un ulteriore 30% ne sono state trovate tracce. Gamberi, mazzancolle e scampi invece sono contaminati “solo” nel 34% dei casi. C’è dunque una elevatissima probabilità di ingerire micro-plastiche ogni volta che consumiamo prodotti ittici. Le micro e nano-plastiche sono ormai entrate nella catena alimentare e sono arrivate nei nostri piatti. 

Ma non si tratta solo della Gran Bretagna, anche il Mare Nostrum è interessato dal fenomeno. Un recente studio italiano pubblicato sul Marine Pollution Bulletin, per esempio, ha messo in luce come il 25% delle verdesche analizzate (Prionace glauca) nel Mar Ligure avesse ingerito micro e nano-plastiche. Mentre stando ai risultati dell’ultima indagine condotta da Altroconsumo su oltre 100 campioni di cozze, crostacei vari e sale marino, il 70% è contaminato da micro-plastiche. In modo anche pesante: nel 40% dei campioni di sale marino e di cozze ne è stata riscontrata la presenza, mentre in un ulteriore 30% ne sono state trovate tracce. Gamberi, mazzancolle e scampi invece sono contaminati “solo” nel 34% dei casi. C’è dunque una elevatissima probabilità di ingerire micro-plastiche ogni volta che consumiamo prodotti ittici. Le micro e nano-plastiche sono ormai entrate nella catena alimentare e sono arrivate nei nostri piatti. 

A destare maggiore preoccupazione sono, per esempio, i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che possono accumularsi nelle micro-plastiche. O il tanto discusso bisfenolo A (BPA), fondamentale nella sintesi di alcune materie plastiche, già “accusato” di tossicità a lungo termine e di interferire con il sistema endocrino. 

Ad oggi non conosciamo ancora con certezza quali conseguenze possa avere sull’uomo un’alimentazione che prevede la presenza o il contatto con questo tipo di sostanze.

Secondo i dati raccolti dal CNR e pubblicati su Scientific Reports, nel Mediterraneo si aggirerebbero circa 1,25 milioni di frammenti di plastica. In particolare, nel tratto di mare tra la Toscana e la Corsica è stata rilevata la presenza di circa 10 kg di micro-plastiche per km quadrato, contro i 2 kg presenti a largo delle coste occidentali della Sardegna e della Sicilia e lungo il tratto nord della costa pugliese. 

Il problema però non si limita solo all’inquinamento. Moltissime specie marine ormai ingeriscono plastica perché molte di queste non vengono debitamente smaltite. Sono abbandonate, a volte volontariamente, e vanno incontro a frammentazione o a processi di foto-degradazione.

La plastica, cioè, si sminuzza in particelle minuscole, più piccole di un millimetro: le micro e le nano-plastiche, ben più insidiose del prodotto originale.

L’UTILIZZO NELLE FORMULAZIONI COSMETICHE

Che siano derivate da grossi pezzi abbandonati o da cosmetici, saponi, scrub, maschere e dentifrici con le famose “microperle”, o ancora dal lavaggio di tessuti sintetici (come le fibre in poliestere per esempio), le micro e le nano-plastiche non vengono filtrate dai sistemi di depurazione delle acque e finiscono irrimediabilmente in mare. 

La forte pressione mediatica riguardo a dati resi pubblici dai vari studi scientifici sulle micro e nano-plastiche, anche in UE ha causato l’introduzione di provvedimenti restrittivi sugli utilizzi in diversi Paesi membri, indirizzati principalmente a prodotti cosmetici rinse-off (da sciacquare) ad azione esfoliante o detergente che contengono particelle solide, insolubili in plastica di dimensioni < 5 mm (in Italia rif. Legge 7 dicembre 2017, n. 205 Legge di Bilancio 2018, art.1).

Le normative che regolano l’etichettatura dei prodotti cosmetici obbligano, sia le aziende produttrici sia quelle che si occupano di immettere i prodotti sul mercato, a rendere nota e ben visibile sulla confezione la lista degli ingredienti (secondo la nomenclatura INCI: International Nomenclature of Cosmetic Ingredients), disponendoli in ordine di quantità decrescente. 

Al contrario dei generi alimentari però, la normativa rimane vaga riguardo la responsabilità da parte delle aziende di porre in evidenza l’INCI anche sulle piattaforme di vendita online

In Italia, il settore di vendita online (e-commerce) dei prodotti cosmetici è in pieno sviluppo e, nel 2017, il valore degli acquisti online ha superato i 300 milioni di euro con una crescita di oltre il 25% rispetto all’anno precedente. 

 

Le normative che regolano l’etichettatura dei prodotti cosmetici obbligano, sia le aziende produttrici sia quelle che si occupano di immettere i prodotti sul mercato, a rendere nota e ben visibile sulla confezione la lista degli ingredienti (secondo la nomenclatura INCI: International Nomenclature of Cosmetic Ingredients), disponendoli in ordine di quantità decrescente. 

Al contrario dei generi alimentari però, la normativa rimane vaga riguardo la responsabilità da parte delle aziende di porre in evidenza l’INCI anche sulle piattaforme di vendita online

In Italia, il settore di vendita online (e-commerce) dei prodotti cosmetici è in pieno sviluppo e, nel 2017, il valore degli acquisti online ha superato i 300 milioni di euro con una crescita di oltre il 25% rispetto all’anno precedente. 

 

È facile immaginare come questo dato possa essere cresciuto ancor di più negli ultimi anni (specialmente nel 2020 con il periodo di lockdown dovuto al COVID-19) interessando sempre più persone (secondo lo studio di Human Highway per Cosmetica Italia erano già 4,7 milioni nel 2017). In una società che tende sempre di più ad acquistare online sarebbe opportuno che le aziende siano tenute a fornire agli acquirenti tutti i dettagli (di ciascun prodotto che abitualmente troviamo nei negozi), nella lista degli ingredienti. 

Secondo le ultime stime dell’ONU negli ultimi anni, delle 300 tonnellate di plastica prodotte ogni anno ne sversano in mare tra le 8 e le 12 tonnellate. Pari al contenuto di un camion al minuto. I nostri oceani hanno ormai inglobato 150 milioni di tonnellate di plastica

A questo ritmo, secondo la Fondazione Ellen Mac Arthur, tra trent’anni negli oceani ci sarà più plastica che pesci: precisamente tre tonnellate di plastica per ogni tonnellata di pesci. Una stima che suona più come una maledizione che si sta avverando. 

Probabilmente avremmo dovuto iniziare a preoccuparci prima di dove finisce la plastica e di quali conseguenze ha la sua dispersione nell’ambiente. 

Si evince dunque, che tutte le aziende in grado di utilizzare ingredienti considerati “puliti” per l’ambiente e dunque assenti di sostanze derivanti dalla sintesi, debbano essere riconosciute come reali sostenitori del BEAUTY GREEN e maggiormente supportati da istituzioni e consumatori…..

 

Fonti:

– Li J., Green C., Reynolds A., Shi H., Rotchell J. M. “Microplastics in mussels sampled from coastal waters and supermarkets in the United Kingdom”, Environmental Pollution (2019), 241:35-44.

Michele Gogna

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