... Nella storia e nella mitologia i riferimenti ai capelli come sede di forza, di energia, di fertilità e virilità sono innumerevoli e li ritroviamo praticamente in tutte le culture umane, per una sorta di memoria mitico-storica comune le cui radici si perdono nella notte dei tempi...
La biologia ci insegna inoltre che i capelli non hanno scopo funzionale per la razza umana e che si potrebbe sopravvivere benissimo anche completamente calvi.
Perché allora gli esseri umani, “tengono” tanto alla capigliatura da soffrire per essa?
Perché hanno per la perdita dei capelli sensazioni di angoscia così importanti da portarli ad accettare cure dispendiose, spesso inutili e tentativi, anche dolorosi, di ricostruzione di un qualcosa che in fondo è biologicamente inutile, non avendo più un significato ancestrale di termoregolazione né di protezione?
Una risposta possono offrircela la psicologia e l'antropologia.
Iniziando da ciò che è tradizionalmente accettato dalla cultura occidentale in primis ma più o meno in tutto il mondo è che una diversa lunghezza dei capelli fra maschio e femmina fa parte del patrimonio culturale umano anche per motivi biologici.
Sebbene la crescita in lunghezza avvenga nei due sessi quasi alla stessa velocità, nel maschio si ha un ricambio di capelli a velocità doppia o tripla di quella che si ha nella femmina; la fase Anagen dei capelli di un uomo dura infatti mediamente circa 3 anni mentre nella donna dura fra i 6 e i 10 anni. Il capello del maschio cade pertanto ad una lunghezza teorica di circa 30-35 cm mentre quello della donna può raggiungere anche i 100-120 cm. In natura la lunghezza dei capelli è un attributo importante del dimorfismo sessuale. Siamo pertanto ancestralmente abituati a considerare femmina l’individuo con i capelli lunghi e maschio quello con i capelli corti.
Tornano in mente le usanze iniziatiche, proprie delle culture anteriori alla formazione di caste, che si ritrovano in tutti i continenti ma in particolare nelle isole dell’Oceano Pacifico, dove ai neofiti non veniva permesso di lasciarsi crescere i capelli che dovevano essere tenuti rasati o, in
tempi successivi, dovevano essere nascosti da una calotta di pelle che mimava una calvizie e che non doveva essere tolta se non ad iniziazione completa; in particolare non era permesso ai giovani di mostrarsi alle donne senza tale copricapo. Si riteneva che la crescita dei capelli permettesse la fertilità e la potenza sessuale e levarsi il copricapo di pelle era quindi contrassegno del passaggio dalla condizione di fanciullo a quella di uomo. Così, ancora, per i monaci orientali il cranio rasato è simbolo di castità.
I sacerdoti Ho delle tribù della Africa occidentale concepiscono i capelli come sede del loro Dio. I Masai posseggono la magia di “far pioggia” solo finché non si tagliano barba e capelli. In alcune zone della Nuova Zelanda, quando si riteneva indispensabile accorciare i capelli, si considerava il giorno del taglio come il più sacro dell’anno.
Anche nella nostra cultura occidentale una gran massa di capelli costituiva patrimonio indispensabile alla potenza di un sovrano. Basta pensare alla stupenda parrucca di riccioli di Luigi XIV ed al fatto che
l’appellativo di “Cesare”, “Kaiser”, “Zar”, attribuito nel corso dei secoli a sovrani o condottieri, ha anche un risvolto etimologico riferito a lunghi capelli da tagliare. Così se Giulio Cesare si ritrovò di volta in volta costretto a ricorrere ad un riportino o ad una corona di alloro, l’imperatore Adriano non esitò a dissimulare con una parrucca quello che i suoi contemporanei consideravano una grave deformità. La stessa corona regale del resto con lo scopo dichiarato di abbellire la capigliatura del sovrano servirebbe (anche) a dissimulare una incipiente calvizia.
La calvizia della regina Nefertiti e la preoccupazione del popolo per la chioma della sovrana, indicano quanta importanza fosse data dagli antichi abitanti dell’Egitto alla loro capigliatura. A tal proposito nel libro “ I capelli nell’antico Egitto” (di P. Micoli & M. Rotoli ediz. Bolis 1991) i due dermatologi descrivono le pratiche di terapia e cosmesi di capelli e cuoio capelluto nell’antico Egitto attraverso la decodificazione delle più antiche ricette farmacologiche ad oggi conosciute di questa civiltà mediterranea.
Con l’avvento della religione cristiana la tonsura divenne pratica abituale per i monaci, convinti così di rendersi sessualmente non attraenti ed esprimere umiltà, obbedienza e distacco dai beni materiali e dalle velleità estetiche.
Imporre invece il taglio dei capelli è sempre stato segno di profondo disprezzo. Gli antichi Romani tagliavano i capelli dei prigionieri, delle adultere e dei traditori.
I capelli sono sempre stati considerati simbolo di virtù femminile, sicché la ricchezza di una fulgida chioma consentiva a Lady Godiva di apparire virtuosa quando a cavallo percorreva nuda le strade di Coventry, mentre, al tempo della seconda guerra mondiale, donne accusate di facili costumi o di collaborazionismo con il nemico venivano rasate e poi costrette a mostrarsi ai concittadini.
Anche le streghe, nel nostro medioevo, prima di essere giustiziate venivano rasate sia per esporle alla pubblica vergogna ed al disprezzo di tutti sia perché si riteneva che nei capelli fosse riposta gran parte della loro potenza malefica, sicché, rasate, non potessero più nuocere.
Oggi il valore sociale della calvizie è stato rinegoziato e accettato anche come simbolo di virilità maschile.
Un recente studio effettuato dal Prof. A. E. Manness dell’University of Pennsylvania ha evidenziato che l’uomo “pelato” è percepito più forte e carismatico rispetto a chi possiede una chioma folta o voluminosa. L’avanzare della calvizie sembra essere un fattore che la scienza attribuisce ad una maggiore quantità di Testosterone nel sangue di alcuni individui oltre ad una predisposizione ascritta in un codice genetico per l’esattezza in 248 cromosomi responsabili del destino che inevitabilmente la causerebbe.
Hollywood è ricca di attori considerati sex symbol ma completamente calvi (alcuni esempi: Jason Statham, Vin Diesel, Bruce Willis, Channing Tatum etc). Tra questi, alcuni obbligati dall’incipit della calvizie hanno assunto un aspetto mascolino e sicuro lavorando per mettere in risalto altre caratteristiche fisiche. Altre celebrità a loro volta hanno assunto un look calvo per scelta, rendendo la testa rasata un vero e proprio “trend” esportato in tutto il mondo o quasi. Infatti in Corea o in Giappone, a causa delle differenze culturali, nessun uomo si raderebbe volontariamente i capelli perché ne risulterebbe un aspetto ascrivibile a criminali e gangster.
Dopo tutte queste considerazioni una cosa è certa, nella storia umana nessuna cultura mai è rimasta indifferente ai vari problemi dei capelli.
I capelli lanciano da sempre messaggi sociali nelle più svariate forme, per questo motivo oggi possiamo vedere due principali effetti culturali dei capelli sugli individui. Il primo è prettamente estetico-culturale, identificando interi gruppi sociali etnici e geografici anche in base alle diverse conformazioni capillari quindi alle possibilità differenti di manipolarli ed acconciarli.
La Gen Z ad esempio utilizza i capelli come messaggio di stravolgimento dei canoni estetici esistenti per un’affermazione/riconoscimento sociale e culturale.
Per qualcun altro averne cura significa rispettare sé stessi dal punto di vista estetico, identitario e psicologico. Questo diventa un must di questa epoca pro-nipote del boom economico dove la lotta per l’affermazione dell’individuo ha ceduto il passo ad uno stile di vita frenetico dove nel caos quotidiano e distopico si tenta di trovare equilibrio ed armonia tra il dentro e il fuori. In questo caso la cura dei capelli è strettamente legata al fattore salute dell’essere umano.
FONTI :
Charles A., De Anfrasio R.: “The History of Hair” Mediterran Press, New York, 1970.
Micoli P., Rotoli M., “I capelli nell’antico Egitto” Bolis, Milano, 1991
Kligman A.: “History of Baldness from magic to medicine” Clin. Dermatol. 1988; 6 (4): 83 – 88.
Maffei C., Fossati A., Rinaldi F., Riva E.: “Personality disorders and psychopathologic symptoms in patients with androgenetic alopecia” Arch Dermatol 1994; 130: 868 – 872.
Moerman D.E.: “The meaning of baldness and implications for treatment” Clin Dermatol 1991; 6 (4): 89 – 92.
Michele Gogna
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